Quando ho incominciato ad occuparmi di diritto alimentare, oltre ad appassionarmi alle tematiche più strettamente giuridiche, la mia attenzione si è rivolta sin da subito agli animali (da reddito e non) e alla loro reale condizione di essere senzienti nati solo per soddisfare i bisogni dell’uomo.
Che sia per l’alimentazione, per il vestiario o per la compagnia, questi esseri viventi alla fine non fanno altro che alimentare delle necessità umane.
Mi sono chiesta se fosse giusto e nonostante non sia mai stata una di quelle persone che si fermavano ad accarezzare il gattino per strada o che avrebbe mai preso in casa un cagnolino ho incominciato a riflettere profondamente sul senso vero di questo “sfruttamento” e sulla sua evidente contraddizione con i valori in cui ho sempre creduto.
Sono partita innanzitutto dalla considerazione che non sia necessario “amare” in senso stretto gli animali non umani per poter dire a gran voce che NO non è giusto sfruttarli in ogni modo e che il rispetto per gli animali non va inteso quale riconoscimento di una superiorità morale quanto piuttosto quale astensione da atti lesivi od offensivi implicita nel riconoscimento di un diritto.
E nel momento in cui ho compreso che neppure la necessità per la salute umana poteva scriminare l’ignobile macellazione di miliardi di animali ogni anno ho concluso che uccidere un maialino non fosse diverso da uccidere un cucciolo di cane. Non è un nostro diritto uccidere e sfruttare gli animali semplicemente perchè non siamo a loro superiori e non è necessario.
A sostegno di questa mia ultima affermazione potrei citarvi articoli e articoli che potrebbero declinarvi tale principio.
Ciò detto per me non vi è differenza alcuna tra un allevamento intensivo ed estensivo.
L’allevamento intensivo è nato in Italia a partire dal secondo dopoguerra con lo scopo di rispondere alla domanda di prodotti di origine animale cercando contemporaneamente di contenere i costi e far sì che la maggior parte delle persone potessero usufruire di latte, uova etc.
Quindi:
– Ottimizzazione degli spazi dedicati all’animale e alle fasi operative.
– Standardizzazione delle caratteristiche fisico-qualitative e operative della filiera di produzione
- Riduzione dei costi unitari in rapporto alla qualità del prodotto finale.
- Riduzione delle ore di manodopera necessaria alla produzione.
L’allevamento estensivo di produzione animale cercherebbe invece di sfruttare in modo efficiente le risorse naturali del territorio, con l’obiettivo di mantenere l’armonia con la natura, riducendo l’impatto sull’ambiente Ovvero, senza pensare esclusivamente al mero profitto.
Due considerazioni: la prima è che sempre di sfruttamento animale si tratta perché il fine è sempre lo stesso la seconda è che se si guardano le percentuali ci si accorge che, anche volendo sostenere questo tipo di produzione, quest’ultima costituisce solo una percentuale piccolissima rispetto al totale.
La quasi totalità della carne che troviamo al supermercato proviene da allevamenti intensivi e spesso anche dall’estero.
Quindi per me no, non esiste una vera differenza tra metodo intensivo ed estensivo se non nelle sue modalità che non sono così rilevanti da giustificarne la meno crudele ed accettarla come necessaria.
E’ sbagliato e basta.
Vi consiglio una lettura sul tema davvero interessante. Si tratta del libro scritto da Mark Bekoff e Jessica Pierce “Qualcuno lo chiama benessere” ed Sonda in cui si approfondisce il tema del benessere animale e come quest’ultimo costituisca un’utopia di fatto irrealizzata ed irrealizzabile.
Vorrei concludere poi queste poche righe con il pensiero di Martin Luther King jr:
“Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perchè è giusta”.
Alla prossima.
Ciao Cristina, l’articolo é meraviglioso e ne condivido ogni passo. Concludo col dirti che sono felice di averti incontrata, prima su Instagram e ora qui e, mi auguro – e presto – pure di persona. Titti
Grazie Titti, vale anche per me