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Preincartato e Preconfezionato: c’è differenza????

Che differenza c’è tra prodotto preincartato e preconfezionato?

Il prodotto alimentare “preincartato” è il prodotto venduto previo frazionamento e confenzionato sui luoghi di vendita a richiesta dell’acquirente o preconfenzionato ai fini della vendita immediata. 

L’obbligo di etichettatura sui prodotti preincartati sono quelli previsti dall’articolo 16 del Decreto Leg.vo n. 109/1992:

Art. 16.

Vendita dei prodotti sfusi

1. I prodotti alimentari non preconfezionati o generalmente

venduti previo frazionamento, anche se originariamente

preconfezionati, devono essere muniti di apposito cartello, applicato

ai recipienti che li contengono ovvero applicato nei comparti in cui

sono esposti.

2. Sul cartello devono essere riportate:

a) le indicazioni previste all’art. 3, comma 1, lettere a) e

b);

b) le modalita’ di conservazione per i prodotti alimentari molto

deperibili, ove necessario;

c) la data di scadenza per le paste fresche e le paste fresche

con ripieno di cui alla legge 4 luglio 1967, n. 580;

d) il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande

con contenuto alcolico superiore a 1,2% vol.

3. Per i prodotti della pasticceria e della panetteria l’elenco

degli ingredienti puo’ essere riportato su un unico e apposito

cartello tenuto ben in vista.

4. La disposizione di cui al comma 3 si applica anche ai prodotti

di gelateria.

5. Per i prodotti della gastronomia, ivi comprese le preparazioni

alimentari pronte per cuocere, l’elenco degli ingredienti puo’ essere

riportato su apposito registro o altro sistema equivalente da tenersi

bene in vista, a disposizione dell’acquirente, in prossimita’ dei

banchi di esposizione dei prodotti alimentari.

6. Per i prodotti preincartati le indicazioni di cui al comma 2

possono figurare sul solo cartello applicato al comparto.

7. Per le bevande vendute mediante spillatura il cartello di cui

al comma 1 puo’ essere applicato direttamente sull’impianto o a

fianco dello stesso.

8. Sui prodotti di cui al comma 1, nelle fasi precedenti la

vendita al consumatore, devono essere riportate le menzioni di cui

all’art. 3, comma 1, lettere a), b), e) ed h); tali menzioni possono

figurare anche solo sui documenti commerciali.

Se il prodotto viene realizzato e confezionato alla presenza dell’acquirente, il preincartato può anche non riportarte nessuna indicazione, in quanto l’acquirente ha le informazioni di legge attraverso i cartelli informativi posti vicino al banco di vendita quindi.

Se lo stesso prodotto viene invece messo in vendita ad esempio nel banco frigo, perchè realizzato in assenza dell’acquirente, sul packaging del prodotto devono figurare le indicazioni dall’articolo 16 del D.L.vo n. 109 qualora queste indicazioni non siano riportate sul cartello delle informazioni, infatti, se sul cartello figurano già la denominazione di vendita del prodotto, l’elenco degli ingredienti se previsto, il prezzo, oltre ad eventuali altre indicazioni previste per casi specifici, non resta che riportare sul prodotto preincartato la quantità netta ed il prezzo di vendita.

Secondo il Decreto Legislativo n. 109/1992 questi prodotti non devono riportare sull’etichetta la data di scadenza.

Il prodotto “preincartato” non è normato dalla legislazione comunitaria; la definizione è stata introdotta in Italia “allo scopo di precisare gli adempimenti di etichettatura conseguenti all’attività di confezionamento negli esercizi di vendita per la consegna diretta all’acquirente o per la vendita a libero servizio” (Circolare del Ministero dell’Industria n. 165/2000).

Dalla stessa circolare si ribadisce che non viene considerato prodotto “preconfezionato” anche se è ermeticamente chiuso e sigillato, quindi non deve riportare la data di scadenza in quanto non prevista dall’articolo 16 del decreto legislativo n. 109/1992. 

Il prodotto “preconfezionato” si ha quando il suo contenuto è chiuso in un imballaggio di qualsiasi tipo preparato in assenza dell’acquirente e in modo tale che la quantità del prodotto in esso contenuto abbia un valore prefissato e non possa essere modificata senza aprire o alterare palesemente l’imballaggio.

La differenza tra questi due diversi tipi di confezionamento sembrerebbe chiara così come parrebbe chiara anche la differenza in ordine all’obbligo di inserire anche l’eventuale data di scadenza.

Obbligatoria per per i prodotti preconfezionati, no per i preincartati.

A complicare le cose è tuttavia intervenuta la Corte di Cassazione che, nella sentenza sentenza n. 13412/2002 ha confermato la sanzione che l’UPICA di Lodi aveva inflitto ad un ipermercato che vendeva carne macinata confezionata presso lo stesso punto di vendita in vassoi ricoperti da pellicola trasparente. 

Si trattava quindi di un prodotto “preincartato” e non riportava la data di scadenza, ma l’UPICA aveva inflitto la multa lo stesso. La sanzione, impugnata dall’ipermercato e arrivata fino alla Corte di cassazione, è stata confermata.

A sostegno della sua decisione i Giudici della massima Corte hanno sostenuto che la differenza tra prodotto alimentare preconfezionato e preincartato, ai fini dei conseguenti obblighi di etichettatura, va individuata in relazione alle caratteristiche dell’imballaggio e non in ragione del luogo (punto di vendita) nel quale avviene il confezionamento.

Vi riporto i motivi della decisione della Suprema Corte:

“Sostiene il ricorrente che il pretore ha male interpretato ed applicato la normativa in materia (D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, di attuazione delle direttive europee 89/395/CE e 89/396/CE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari), omettendo altresì di motivare, o fornendo una motivazione insufficiente e contraddittoria, in ordine alla differenza, posta dalla legge, fra prodotti preconfezionati e preincartati, con riferimento all’obbligo – sussistente solo per i primi – di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione

In particolare, il giudice di merito avrebbe, secondo il ricorrente, illegittimamente attribuito rilievo, nell’operare tale differenza, alle diverse caratteristiche dell’involucro, anziché al diverso luogo di confezionamento; avrebbe, quindi, disatteso senza ragione e senza adeguata motivazione le circolari 27.4.1993, n. 140, del ministero dell’industria, e n. 53/1993 della regione Lombardia, a mente delle quali sarebbe da considerare preincartato (e quindi sfuggirebbe alla necessità dell’indicazione della data di scadenza) anche il prodotto avente i caratteri di preconfezionato, quando l’operazione di preconfezionamento sia eseguita nello stesso punto di vendita.

Per conseguenza di tale inesatta interpretazione, il giudice di merito avrebbe applicato ad un prodotto alimentare imballato nello stesso esercizio commerciale, e perciò da ritenere, secondo la tesi difensiva, “preincartato”, la disposizione relativa all’indicazione di scadenza in etichetta, riguardante invece soltanto i prodotti impacchettati in luogo diverso dall’esercizio di vendita, descritti dalla legge come “preconfezionati”.

Il ricorso è infondato.

Le circostanze di fatto che definiscono il caso concreto sono pacifiche tra le parti: in un banco frigorifero di esposizione dell’ipermercato Auchan di S. Rocco al Porto, all’atto dell’ispezione compiuta dai carabinieri del N.A.S., erano offerte in vendita direttamente ai clienti trenta confezioni di carne macinata equina e sei di trippa bovina, consistenti in altrettante vaschette di idoneo materiale contenenti il prodotto alimentare, interamente ricoperto e protetto da una pellicola trasparente, con sovrastante etichetta che, fra diverse indicazioni, non riportava quella attinente alla scadenza (c.d. “termine minimo di conservazione”, da intendere come termine massimo per la sicurezza dell’uso alimentare).

L’unica questione controversa riguarda l’interpretazione del combinato disposto degli articoli 3, lett. d), e 1, secondo comma, lett. b) e d), del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, che ha dato attuazione alle direttive CE 89/395 e 89/396: la prima di tali norme, infatti, include l’indicazione del “termine minimo di conservazione” fra i dati obbligatori da inserire nell’etichetta apposta sui prodotti preconfezionati; la seconda norma citata, alle lettere b) e d), pone la distinzione fra prodotti alimentari “preconfezionati” (la cui etichetta deve indicare, fra l’altro, il suddetto termine di scadenza) e “preincartati” (per i quali tale indicazione non è necessaria). Più precisamente, quindi, la discussione s’incentra sull’esatto contenuto e significato dell’espressione normativa “prodotto alimentare preconfezionato”.

Le caratteristiche del “prodotto alimentare preconfezionato”, secondo l’articolo 1, co. 2, lett. b, cit., sono le seguenti: destinazione ad essere presentato “come tale” (cioé senza ulteriori manipolazioni e modifiche, di contenuto o di confezionamento) al consumatore; inclusione, avvenuta prima della presentazione alla vendita, del prodotto alimentare in un imballaggio; attitudine dell’imballaggio, intero o parziale, ad impedire modifiche del contenuto, se non attraverso l’apertura o l’alterazione della stessa confezione. In questo senso, durante il periodo di

vigenza del D.P.R. 18 maggio 1982, n. 322, contenente analoghe indicazioni, Cass. nn. 10179/1997, 9755/1996, 9212/1992.

In conformità alla lett. d) della stessa norma, il “prodotto alimentare preincartato” ha invece, come unica peculiarità, quella di essere stato posto o avvolto in un involucro (di cui non sono specificate le caratteristiche) nello stesso esercizio di vendita.

Nell’interpretare queste disposizioni si deve, anzitutto, aver riguardo al fatto che esse sono inserite in un provvedimento delegato, inteso a dare attuazione a direttive comunitarie dal cui contenuto, pertanto, non possono discostarsi (Cass. n. 10821/1995).

Sotto l’aspetto della conformità alle direttive comunitarie, tendenti ad uniformare le legislazioni dei paesi membri in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari senza scendere in particolari sottodistinzioni – e quindi sotto l’aspetto della ratio legis -, sembra evidente che qualsiasi specificazione e distinzione di ipotesi normative, come quelle ora considerate, deve trovare unica o principale giustificazione nella maggior tutela del consumatore. In questa ottica, l’indicazione in etichetta della data entro la quale il prodotto può essere consumato senza pericolo per la salute del consumatore (“termine minimo di conservazione”) è giustamente richiesta per gli alimenti preconfezionati che vengono acquistati, per così dire, “a scatola chiusa”, essendo protetti da un imballaggio a prova di rottura; diversamente si deve opinare riguardo agli alimenti preincartati, il cui involucro non ha la stessa conformazione né le stesse finalità.

In questa visuale interpretativa, il luogo di esecuzione del confezionamento non riveste significato ed importanza tali da giustificare, insieme con la differenza fra “preconfezionato” e “preincartato” (peraltro non prevista nella direttiva CE all’epoca vigente), la limitazione dell’obbligo d’indicazione della scadenza a quei soli prodotti che, pur avendo uguali caratteristiche d’imballo, si distinguerebbero dagli altri soltanto per essere stati confezionati in luogo diverso.

Si deve convenire, d’altra parte, che il testo normativo non obbliga ad una interpretazione difforme da quella sopra indicata, ricavabile dalla mens legis, con preminente riferimento al legislatore europeo.

Infatti la legge non richiede che lo speciale imballaggio del prodotto “preconfezionato” sia eseguito in luogo diverso dall’esercizio commerciale in cui viene venduto. Il confezionamento nello stesso luogo di vendita è bensì richiesto (art. 1/2/d) per il prodotto “preincartato”: ma non è prescritto, né deriva da necessità logica, che l’impacchettamento del prodotto “preconfezionato” debba essere eseguito, pur senza un’espressa previsione legislativa, in luogo diverso da quello di vendita. Fermo restando che, legalmente, prodotto “preincartato” è quello posto o avvolto nell’involucro all’interno dello stesso esercizio di vendita., il prodotto “preconfezionato” può essere invece liberamente imballato nello stesso luogo o in luogo diverso, nulla disponendo la legge in proposito.

Il riferimento al luogo di confezionamento, pertanto, è estraneo alla ratio della direttiva comunitaria, è inconferente rispetto al principio di tutela del consumatore ed è escluso dalla disposizione dell’articolo 1, secondo comma, lett. b) del D.Lgs. n. 109/1992, che non contempla, fra gli elementi caratterizzanti il prodotto alimentare preconfezionato, quello del luogo d’imballaggio.

In conclusione, è prodotto alimentare preconfezionato quello che corrisponde alle caratteristiche stabilite nella norma da ultimo citata, escluso qualsiasi riferimento al luogo di confezionamento.

Costituisce “prodotto alimentare preconfezionato” quello che corrisponde alle caratteristiche stabilite dalla disposizione dell’art. 1, comma 2, lett. b) del d.lg. n. 109 del 1992 senza che abbia rilievo qualsiasi riferimento al luogo di confezionamento. Ne consegue che tale prodotto, sia esso imballato all’interno dello stesso esercizio di vendita o in un luogo diverso, deve indicare in etichetta il termine minimo di conservazione con la conseguenza che, ai sensi delle lettere b e d della predetta disposizione normativa, la differenza tra prodotto alimentare “preconfezionato” e prodotto “preincartato” – per il primo dei quali soltanto esiste l’obbligo di indicazione del termine minimo di conservazione – non va individuata in ragione del luogo in cui avviene l’imballaggio, bensì delle caratteristiche dell’imballaggio stesso.

Quindi se in linea puramente teorica la distinzione tra preincartato e preconfezionato parrebbe ricondursi al luogo di confezionamento, ai fini dell’obblighi di etichettatura, in particolare riguardo la data di scadenza, la differenza deve essere ravvisata nella natura del packaging e dalla sua connaturata tendenza ad influenzare il consumatore.