Oggi voglio parlarvi dell’home restaurant. Lo conoscete?
Si tratta di un fenomeno relativamente nuovo, importato dagli Stati Uniti sul modello cubano delle “case particular”, che consiste nel cucinare a casa propria, per poche persone e ovviamente a pagamento, piatti magari tipici della tradizione del luogo in cui ci si trova.
Persone non professioniste, casalinghe, chiunque abbia un’autentica passione per la cucina, si possono cimentare in questa attività che ad oggi può contare su numeri di tutto rispetto.
Vediamo nel dettaglio questo fenomeno.
Va innanzitutto detto che non esiste una norma ad hoc che regolamenti questa attività. C’è di fatto un vuoto legislativo che permea in questo settore.
Esiste però una Risoluzione del Ministero dello Sviluppo economico (50481/2015) che voglio riportarvi nella sua interezza:
“oggetto: Attività di cuoco a domicilio – Home Restaurant – Richiesta parere
Si fa riferimento alla nota pervenuta per e-mail, con la quale codesta Camera di Commercio chiede di chiarire come configurare l’attività di cuoco a domicilio e se tale attività possa rientrare fra quelle soggette alla Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (SCIA) da presentare la Comune di residenza, al fine di stabilire in modo chiaro l’iter da seguire per garantire il controllo dei requisiti professionali a tutela del consumatore finale.
Al riguardo inoltra una richiesta di informazioni ad essa pervenuta inerente l’apertura e la gestione di un Home Restaurant, ovvero un’attività che si caratterizza per la preparazione di pranzi e cene presso il proprio domicilio in giorni dedicati e per poche persone, trattate come ospiti personali, però paganti.
Fa presente che realtà di questo genere esistono già a Roma e Milano e sono presenti anche con domini su siti web.
Tutto ciò premesso, la scrivente Direzione rappresenta quanto segue.
In via preliminare si precisa che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande è disciplinata dalla legge 25 agosto 1991, n. 287, così come modificata dal decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i.., la quale distingue tra attività esercitate nei confronti del pubblico indistinto (cfr. articolo 1) e attività riservate a particolari soggetti (cfr. articolo 3, comma 6).
Detta legge all’articolo 1, comma 1 dispone che “per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul posto” che si esplicita in “… tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati”.
L’attività in discorso, ad avviso della scrivente, anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela.
Infatti, la fornitura di dette prestazioni comporta il pagamento di un corrispettivo e, quindi, anche con l’innovativa modalità, l’attività in discorso si esplica quale attività economica in senso proprio; di conseguenza, ad avviso della scrivente, non può considerarsi un’attività libera e pertanto non assoggettabile ad alcuna previsione normativa tra quelle applicabili ai soggetti che esercitano un’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Al riguardo, si richiama la nota n. 98416 del 12-6-2013, che si allega, con la quale la scrivente Direzione ha classificato come un’attività vera e propria di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande quella effettuata da un soggetto che, proprietario di una villa, intendeva preparare cibi e bevande nella propria cucina fornendo tale servizio solo su specifica richiesta e prenotazione da parte di un committente e quindi solo per gli eventuali invitati.
Pertanto, ad avviso della scrivente, anche nel caso dei soggetti richiamati nel quesito, considerata la modalità con la quale intendono esercitare, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 64, comma 7, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i..
Ciò significa che, previo possesso dei requisiti di onorabilità nonché professionali di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i., detti soggetti sono tenuti a presentare la SCIA o a richiedere l’autorizzazione, ove trattasi di attività svolte in zone tutelate.
La presente nota è comunque inviata ai Ministeri dell’Interno e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, nonché alla Regione (…), i quali sono pregati di far conoscere eventuali determinazioni al riguardo”
Dunque, ad oggi, per aprire un home restaurant occorre presentare al SUAP comunale una “Segnalazione certificata di inizio attività” (Scia), accompagnata dalla notifica sanitaria, che il SUAP dovrà inviare al l’Azienda Usl.
Esiste poi un Disegno di legge, approvato alla Camera ed in discussione al Senato:
Il riferimento normativo in Italia è il DdL n. 3258 che disciplina l’attività di ristorazione in abitazione privata.
Dal disegno legge si possono evincere restrizioni, obblighi e requisiti necessari all’apertura di un home restaurant.
– L’attività ristorativa privata, in casa, non deve essere continuativa e abituale – così come avviene per la ristorazione vera e propria – ma deve essere saltuaria.
– Gli alimenti messi in tavola e adottati in cucina dovranno provenire da prodotti a Km 0.
– numero massimo di 500 ospiti all’anno.
– il fatturato non deve superare i 5.000 euro annui.
– prenotazione all’evento tramite piattaforma di prenotazione online su piattaforme digitali.
– pagamento solo on line.
– Haccp obbligatoria:
– un home restaurant non può coesistere con b&b, affitta camere o con qualsiasi altra attività ricettiva che prevede ospitalità e pernottamenti sotto i 30 giorni.
– Agibilità degli spazi deputati all’attività: così come comunemente previsto per le abitazioni in senso stretto.
– comunicazione di inizio attività al Comune, senza Scia e senza comunicazione Rec.
- l’obbligo di stipula di assicurazione per copertura dei rischi e per la responsabilità civile verso terzi.
Cio’ detto sempre il Ministero per lo Sviluppo Economico rispondendo a diversi dubbi sull’home restaurant, nella risoluzione n. 493338 del 6/11/2017 ha precisato che l’attività in questione, rientrando in quelle di somministrazione di alimenti e bevande:
– può essere esercitata solo da chi possiede i requisiti di onorabilità e professionalità previsti dall’art. 71 del dlgs n. 59 del 26 marzo 2010;
– esige la presentazione di una SCIA “qualora si svolga in zone non tutelate, o previa richiesta di un’autorizzazione, ove trattasi di attività svolta in zone tutelate” (vedi anche nota n. 50481 sotto allegata);
- mentre sul tema della sorveglianza, richiamando la nota n. 557/PAS/U/015816 del 14 ottobre 2016 del Ministero dell’Interno sull’applicabilità del D.M n. 564 del 1992, riporta “che l’assoggettamento dell’attività in questione alla disciplina della somministrazione di alimenti e bevande comporta, in linea di principio, la soggezione ai controlli e agli eventuali poteri sanzionatori e interdittivi dell’Autorità di pubblica sicurezza comuni a tutti gli esercizi pubblici”.
A presto!!!
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